Articolo pubblicato su “La Stampa”

Egregio direttore,

mi ha lasciato parecchio amaro in bocca l’intervista che il 3 Marzo 2011 il Prof. Umberto Veronesi, uno tra i più illustri scienziati italiani,  ha concesso a “La Stampa” sulle questioni legate alla reintroduzione del nucleare in Italia. Veronesi è un oncologo ed è tra i pochi scienziati che, in un paese che conosce poco e poco ama la scienza, ha il  privilegio di potersi rivolgere direttamente all’opinione pubblica. Proprio per questo ha anche una responsabilità grande. Il senso di frustrazione che ho provato leggendo l’intervista deriva, più che dalle cose dette dall’intervistato che fanno parte di una ben orchestrata e ben visibile campagna in favore della reintroduzione del nucleare avviatasi da qualche tempo in Italia, dalle cose sottaciute. Vorrei evitare, anche per ragioni di brevità, di avanzare i miei dubbi su diverse affermazioni avanzate dal prof. Veronesi nella sua intervista e limitarmi ad elencare alcune delle cose non dette.

“Trecentocinquanta” di Giorgio Nebbia

Gli eventi di questo 2010 confermano l’esistenza di mutamenti climatici
dovuti al riscaldamento planetario. Devastanti alluvioni nell’Europa
centrale; più a Oriente, nell’estate una eccezionale siccità ha provocato
incendi di boschi e di giacimenti di torba in Russia; ancora più a Oriente,
alluvioni nell’Asia meridionale e in Cina, per non parlare di questo
autunno. Piogge intense, alluvioni e siccità si sono già verificati nei
decenni e secoli passati, ma mai su una scala così vasta e con così grande
frequenza, proprio come le previsioni avevano indicato.

Il fenomeno del riscaldamento globale si può schematizzare come dovuto all’aumento
della concentrazione dell’anidride carbonica nell’atmosfera; di conseguenza
aumenta la frazione del calore solare che resta “intrappolata” dentro l’atmosfera,
ciò che fa aumentare la temperatura media della superficie terrestre nel suo
complesso. Ne derivano cambiamenti nella circolazione delle acque oceaniche
e nell’intensità e localizzazione delle piogge sui continenti. Bastano
relativamente piccole variazioni per far aumentare le piogge in alcune zone
della Terra o per rendere aride altre zone. Pochi numeri aiutano a
comprendere tali fenomeni; per tutto l’Ottocento e per la prima parte del
Novecento l’atmosfera conteneva circa 2200 miliardi di tonnellate di
anidride carbonica, corrispondenti ad una concentrazione di circa 280 ppm
(parti in volume di anidride carbonica per milione di parti dei gas totali
dell’atmosfera).

Quanta energia solare? di Giorgio Nebbia

Il campo delle energie rinnovabili, tutte derivate dal Sole, sta vivendo un
periodo turbolento. Da alcuni anni finalmente ci si sta rivolgendo al calore
e alla radiazione solare e alla forza del vento per ottenere energia,
soprattutto energia elettrica, in forma meno inquinante e utilizzando forze
che ritornano disponibili continuamente, rinnovabili, legate ai grandi cicli
della natura. Il loro successo è stato finora in gran parte possibile grazie
a consistenti contributi pubblici che hanno coperto la differenza fra il
costo di produzione dell’elettricità, maggiore nel caso del Sole e del
vento, rispetto al costo di produzione nelle centrali termoelettriche
alimentate con fonti fossili, e al “prezzo unitario nazionale” dell’elettricità
che si aggira intorno a circa 6 centesimi di euro al chilowattora (anche se
a casa nostra la paghiamo oltre il doppio).

Il sistema degli incentivi ha fatto si che, usando fonti energetiche
rinnovabili, non solo si compie una azione positiva ambientale (meno
inquinamenti, meno emissioni di gas che alterano il clima, minori
importazioni di fonti fossili), ma ci si guadagna anche a livello di
famiglie, di comuni, di chi affitta lo spazio per installare pannelli
fotovoltaici e torri eoliche, di chi vende pannelli e centrali eoliche, in
tanti insomma.

Perché finiamo sempre sott’acqua

Ancora una lezione che i saggi ripetono instancabili da anni, ma la saggezza non penetra nella mente di chi ha anteposto quello “sviluppo” a tutto il resto. La Gazzetta del Mezzogiorno, 9 novembre 2010
Brutto mese novembre: era novembre quando il Po, nel 1951, ha allagato il Polesine, la prima grande tragedia nazionale, che riuscì a mobilitare emozione e solidarietà in tutto il Paese, appena uscito dalla guerra, e impegni perché non succedesse più; era il 4 novembre 1966, in pieno boom economico, quando le acque dell’Arno e le fogne di Firenze hanno invaso quella straordinaria città, e le acque dell’Adige hanno invaso Trento e il mare ha allagato Venezia; anche allora emozione e solidarietà e anche allora impegni perché non succedesse più. Era novembre quando ci sono state le grandi alluvioni del Piemonte nel 1994; ormai sempre meno emozione e qualche soldo agli alluvionati in modo che ricostruissero proprio dove le loro case e fabbriche erano state spazzate via. E’ novembre ancora adesso che stiamo soffrendo per il dolore di tante famiglie nel Veneto e in Toscana e in Calabria e in Sicilia.

Se il mese di novembre è brutto perché i meteorologi dicono che le piogge intense si formano dallo scontro di masse di aria fredda e calda sulla nostra penisola, stesa là nel Mediterraneo fra Europa e Africa, anche tutti gli altri mesi dell’anno sono cattivi per frane e allagamenti: giugno Versilia (1996); luglio Ofanto e Manfredonia (1972), Valtellina(1987); settembre Soverato in Calabria (2000); ottobre Salerno (1954) e Genova (1970), e così via.

Lettera del Prof. Balzani su Il Giornale

Caro dott. Granzotto,

anzitutto la ringrazio di aver pubblicato nella sua rubrica il mio intervento sulla discussione relativa al rientro dell’Italia nel nucleare. Oggi è quanto mai opportuno esporre posizioni diverse in modo civile ed educato. Nessuno ha la verità in tasca, e tutti possiamo imparare da un confronto sui fatti.

In un certo senso è vero che, come Lei ha scritto, <è più pericoloso acquistare il petrolio che l’uranio>, poiché l’uranio si può acquistare da Paesi più attendibili di quelli che ci forniscono i combustibili fossili. E’ vero cioè che il ritorno al nucleare ci permetterebbe di diversificare le fonti di energia, non però di fare neppure un passo verso l’indipendenza energetica. Infatti, se è vero che l’Italia deve importare quasi tutto il petrolio, il metano e il carbone che consuma, è anche vero che dovrebbe importare tutto l’uranio necessario a far funzionare le centrali. L’unica risorsa energetica abbondante che l’Italia ha è l’energia solare e se vogliamo muoverci nella direzione dell’indipendenza energetica  dobbiamo sviluppare l’uso di questa fonte, abbondante ed inesauribile, con tutto l’impegno possibile.

Il no al nucleare è una «religione» per integralisti. La replica del Prof. Vincenzo Balzani

La ragione per cui l’energia nucleare non può contribuire alla indipendenza energetica del nostro Paese non è legata al piccolo numero di centrali, ma all’incontrovertibile fatto che l’Italia non ha uranio, che dovrebbe quindi importare.

Il nucleare non è compatibile col libero mercato; infatti si costruiscono nuove centrali praticamente solo nei Paesi ad economia pianificata come Cina, Russia ed India, dove lo Stato si accolla gran parte dei costi.

Il no al nucelare è una “religione” per integralisti

Da Il Giornale 6 dicembre 2009

Il no al nucleare è una «religione» per integralisti

Caro Granzotto,

le ho appena scritto che clima ed energia non sono temi adatti a un raffinato umanista come lei e lei che fa ? Fa rispondere a Franco Battaglia, docente di Chimica Ambientale all’Università di Modena e Reggio Emilia, le cui opinioni in favore del nucleare sono arcinote ai lettori del Giornale, che non ne ha mai pubblicate di diverse.Per informazione, le allego la «lettera aperta » inviata lo scorso maggio al presidente del Consiglio e ai ministri interessati al tema nucleare dal prof. Vincenzo Balzani, docente di Chimica all’Università di Bologna (la migliore italiana, secondo una recente classifica internazionale). Per buon peso, allego anche la recentissima opinione, negativa, sul nucleare manifestata dal prof. Carlo Rubbia, esperto di Fisica delle Alte Energie e Premio Nobel per le sue scoperte in quel settore.

Mission

Uno dei problemi più delicati e più difficili che il nostro Paese ha oggi di fronte è quello dell’energia, collegato alla crisi climatica che minaccia gravemente l’intero pianeta. Le decisioni che verranno prese a questo riguardo condizioneranno non solo la nostra vita, ma ancor più quella dei nostri figli e dei nostri nipoti. Per prendere decisioni sagge su un tema così complesso è necessaria una stretta collaborazione fra scienza e politica, con forte coinvolgimento dell’opinione pubblica. Per questo ci siamo rivolti al Governo con successivi appelli leggibili in questo sito.

Affinché il dialogo sulle scelte energetiche avvenga in modo pubblico, trasparente, autorevole e continuativo, crediamo che il Governo debba promuovere, prima di assumere decisioni irreversibili, una sede di consultazione permanente tra scienziati e politici: una task force di alto profilo, con l’eventuale partecipazione di esperti internazionali, per un confronto al di sopra della discrezionalità, dell’opportunismo, e degli interessi delle lobby.